Editoria Recensioni

Quando il giornalismo diventa “pronismo”

Quando il giornalismo diventa “pronismo”

Anche se più di sessant’anni fa Leo Longanesi ricordava come “l’italiano fosse disposto a pagare pur di vendersi”, sembra che pochi progressi siano stati compiuti da parte delle grandi firme del giornalismo o dagli addetti alla comunicazione di massa. Anzi.

In “Slurp - Dizionario delle lingue italiane” sono state raccolte secondo ordine cronologico le ossequiose osservazioni (per usare un eufemismo) esternate nei confronti del potente di turno.

Nella sua ultima fatica letteraria (anche se tale non la reputa, essendosi per sua stessa ammissione limitato a collezionare e ad ordinare vere e proprie perle di adulazione) Marco Travaglio riporta un campionario ventennale di incoerenza, opportunismo, acefale accettazioni capaci di far sprofondare nel ridicolo il suo estensore.

Poco è cambiato dai tempi dell’Istituto Luce, in cui l’opinione pubblica doveva essere narcotizzata, rassicurata e privata di qualsiasi tipo di capacità critica. Oggi più che mai risulta chiaro che lo sport di cui l’italiano è medaglia d’oro è quello di “Salto sul carro del vincitore”, sul quale, seppure nutritamente affollato, riesce sempre a ritagliarsi il suo piccolo spazio.

Alla categoria dei giornalisti servi viene dedicata una sezione specifica del libro (a mo’ di girone dantesco), responsabili più di altri di avere disinvoltamente leccato politici di ogni colore ed appartenenza nel momento del loro apogeo, salvo voltare le spalle ed acrimoniosamente criticarli una volta finiti nella polvere.

 

 

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